Scalata camorristica alla Lazio, altro ordine di arresto per Chinaglia

Emessi dieci nuovi mandati di cattura, c’è anche il boss dei Casalesi Giuseppe Diana. Il clan voleva impiegare i proventi delle attività illecite per acquistare il club

ROMA – Un primo processo è già in corso davanti al tribunale di Roma, ma gli investigatori non hanno smesso di indagare sul tentativo di un gruppo di persone di acquistare la Lazio attraverso pressioni, minacce e complesse operazioni finanziarie. Ora sono convinti di aver trovato le prove che a fornire i soldi per quell’operazione era il clan camorristico dei Casalesi, interessato a entrare nel business del calcio.

Gli indagati. Il lavoro della procura della capitale ha portato così a dieci nuovi ordini di custodia cautelare per il reato di riciclaggio di denaro sporco. Tra le persone colpite dalle misure restrittive, molte sono già coinvolte nella prima tranche dell’inchiesta, compreso l’ex centravanti Giorgio Chinaglia, latitante all’estero in seguito a un primo mandato di cattura spiccato nei suoi confronti nell’ottobre 2006 nel primo filone dell’inchiesta.

Insieme all’ex calciatore biancoceleste, sott’accusa ci sono anche altre persone coinvolte nel precedente filone dell’indagine e il faccendiere ungherese Zoltan Szlivas, anche lui come Chinaglia sfuggito all’arresto del 2006, che ha preferito patteggiare davanti al giudice per le indagini preliminari. Tra i nomi nuovi c’è invece quello del boss dei Casalesi Giuseppe Diana, al momento già in carcere a Milano per altri reati. Nell’inchiesta sono imputati poi gli ultrà Fabrizio Toffolo, Fabrizio Piscitelli, Yuri Alviti e Paolo Arcivieri, accusati di minacce al presidente della Lazio Claudio Lotito ma a quanto pare non a conoscenza del disegno camorrista.

L’inchiesta. L’ipotesi investigativa è che attraverso intricate operazioni finanziarie e con l’ausilio di atti violenti e intimidatori, di chiaro stampo mafioso, personaggi vicini al clan dei Casalesi cercavano di riciclare il denaro frutto di attività camorristiche per acquistare il pacchetto di maggioranza del club quotato in borsa. Per questi motivi è già in corso un primo processo davanti ai giudici della sesta sezione penale del tribunale di Roma.

A mettere in moto la magistratura erano state le anomale oscillazioni in Borsa del titolo della SS Lazio, dovute alle uscite pubbliche di Chinaglia nella veste di sponsor della società Richter Gedeon Rt (che ha sempre smentito ogni interessamento al club biancoceleste). Parallelamente, il gruppo criminale interessato al possesso del club faceva pressioni anche intimidatorie su Lotito e su persone a lui vicine (dalla moglie ai più stretti collaboratori). A occuparsi di quest’aspetto, secondo l’accusa, erano alcuni settori della tifoseria più accesa.

Il commento di Chinaglia. “Tornare in Italia per andare in prigione? No, adesso no” dice l’ex bandiera della Lazio aggiungendo di non conoscere le persone coinvolte nell’inchiesta. “Non ne ho la minima idea, è veramente incredibile. Non ho niente da dire, per me la questione era finita due anni fa – prosegue – Non posso dire niente. Mi sono sempre mosso con i miei avvocati, sono pure andato con loro anche alla Consob, per me è incredibile”. Si parla anche di atti intimidatori. “Ho letto, ma chi voglio intimidire? Non ho capito. Io – conclude Chinaglia – sono sempre stato a New York in questi due anni, una volta sola sono andato in Florida e basta”.

La soddisfazione di Lotito. “Come parte offesa lanciai degli allarmi che non furono recepiti, successivamente hanno trovato riscontro anche sul piano della giustizia”, commenta il presidente della Lazio. “Avevo lanciato un grido d’allarme – continua Lotito – che inizialmente non era stato recepito, poi le istituzioni, alla luce delle varie denunce che ho fatto, hanno preso atto della situazione e ha trovato i colpevoli”.

(22 luglio 2008)

Fonte: la Repubblica.it

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