In tanti pensano che all’Olimpico in questi giorni, nel luogo dove si giocano partite di calcio, si stia celebrando un processo che dovrebbe ridare giustizia al calcio italiano.
Ma sono sempre più quelli che invece sospettano che questo processo abbia una sentenza già scritta. Clemente Mastella ha dichiarato: “…dalle indicazioni che mi arrivano, c’è l’impressione che la decisione sia già stata presa. E’ ovvio che davanti a responsabilità accertate ci vogliano le sanzioni, ma qui il rischio è che paghi anche chi non c’entra niente…” Questo lo ha detto il Ministro della Giustizia non un tifoso della Lazio o della Fiorentina. E se il Ministro della Giustizia parla così il processo ha già perso qualsiasi valore.
Marco De Martino (sul Messaggero di ieri) ha scritto: “…non è mai successo che un pubblico ministero facesse la requisitoria prima del dibattimento”. De Martino non lo ha detto forse per carità di patria, ma anche lui sa benissimo che questo succedeva regolarmente nei processi in cui la sentenza era già scritta, nell’Unione Sovietica di Stalin. Basterebbe questa osservazione per far capire che anche quello dell’Olimpico non può essere considerato una processo serio ma una farsa di fronte alla quale non si riderà ma molti piangeranno lacrime amare.
Un altro mistero rimane la figura di Cesare Ruperto, un magistrato in pensione che è stato anche presidente della Consulta, il quale ha accettato di presiedere questo processo che ha come unico scopo, a quanto sembra, di “fare in fretta” di “rispettare i tempi”, in un paese in cui i tempi della giustizia sono giurassici. Fare in fretta perché? Per far iniziare i campionati in tempo, si dice. Per iscrivere le squadre ai tornei europei, si ribadisce. E per tutto questo si impedisce agli imputati di difendersi, di portare prove, di convocare testimoni, con il rischio di condannare innocenti e di scardinare definitivamente il sistema calcio, con società annose e gloriose e che non hanno dietro finanziatori dal portafoglio senza fondo e che rischiano di portare i libri in tribunale?
E’ chiaro che alludo soprattutto alla Lazio, sicuramente la “più innocente” di quelle che siedono sul banco degli imputati. Perché deve essere chiaro a tutti, anche se i giudici hanno impedito di fare questa chiarezza, che la Lazio non c’entra niente con questo processo. Che la Lazio ha cercato soltanto di difendersi, rivolgendosi esclusivamente alle sedi istituzionali e non cercando contatti con i “manovratori”, da un sistema messo in piedi da altri e pilotato da altri che la stavano danneggiando in un momento delicatissimo della sua esistenza, quando cercava di uscire dal baratro del fallimento.
E’ reato chiamare la federazione e protestare per gli arbitraggi negativi, quando il presidente della federazione Carraro si è raccomandato di non fare rumore sui giornali e di indirizzare le proteste soltanto alle istituzioni?
E’ reato chiamare la Federazione e chiedere che ad arbitrare la Lazio vengano designati arbitri giusti che facciano il loro dovere, quando dalle intercettazioni si evince che altri complottavano addirittura per la squalifica del campo della Lazio prima della partita con la Juventus, la società intorno alla quale ruotava tutto il sistema di potere?
Di fronte ai giudici sono passati gli arbitri delle partite sub judice e tutti (Rocchi e Tagliavento) hanno detto di aver sbagliato, come sempre sbaglia un arbitro, in quelle partite ma sempre a sfavore della Lazio.
Allora io chiedo: che cosa ci stanno a fare la Lazio e Lotito sul banco degli imputati? Li si rimandi a casa con tante scuse, nel rispetto di una storia ultracentenaria e nel rispetto della passione dei tifosi e degli investimenti degli azionisti. Perché nessuno deve dimenticare che la Lazio è una società quotata in borsa e le cui azioni sono nelle mani di migliaia di piccoli azionisti che un giorno potranno chiedere conto ai giudici dell’Olimpico delle loro decisioni.
Giancarlo Governi
Da “Il Messaggero”